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News21 Ottobre 2022by Martina Pengue

Quiet Quitting, un nuovo approccio al lavoro e come gestirlo in azienda

“Recentemente ho imparato questo nuovo termine chiamato “quiet quitting”, con il quale non si intende che stai abbandonando il tuo lavoro, ma piuttosto che stai abbandonando l’idea di «andare oltre»”, afferma Zaiad Khan, un utente di TikTok con oltre 13.000 follower, che con voce rassicurante, in un video da quasi 500.000 visualizzazioni, diffonde in tutto il mondo questo nuovo fenomeno. “Continui a svolgere regolarmente le tue mansioni, ma non stai più aderendo mentalmente alla “Hustle Culture” secondo cui il lavoro deve essere la nostra vita”.

In poche parole, secondo le testimonianze più diffuse, quiet quitting non ha strettamente a che fare con le dimissioni, come lascerebbe intendere la traduzione letterale “abbandono silenzioso”, ma è piuttosto un atteggiamento contrastante con la cultura dell’hustle, ossia l’incontrollabile necessità di lavorare incessantemente.

Questo nuovo fenomeno è, dunque, connesso alla ricerca di benessere, all’idea di dare importanza ad aspetti della propria vita che sono esterni al lavoro; un approccio che non è di certo una novità, ma che in seguito alla pandemia di Covid-19, è diventato sempre più visibile e predominante nel mondo del lavoro, soprattutto nella Generazione Z, per la quale l’equilibrio tra lavoro e vita privata sembra essere una priorità.

Comportamenti in azienda del quiet quitter

Tendenzialmente chi assume questo approccio a lavoro decide di lavorare nei tempi e nei modi indicati dal contratto, non è disposto a trattenersi oltre l’orario di lavoro, a svolgere mansioni extra o assumersi responsabilità straordinarie.

Ciò comporta anche un distacco emotivo da progetti e luogo di lavoro e un disinteresse a sforzarsi oltre il dovuto per ottenere promozioni e riconoscimenti.

Uno dei principali rischi in azienda, di fronte a collaboratori che sposano questo fenomeno, è la ripercussione negativa che può avere sul resto del team. Queste persone, infatti, potrebbero assumere comportamenti passivi o addirittura aggressivi, rifiutarsi di collaborare con i colleghi e influenzare in questo modo il lavoro di tutti. È ciò che afferma anche Gabrielle Judge, un giovane dipendente di un’azienda a Denver, sottolineando che «Non si tratta sempre di te. Sei in una squadra, sei in un dipartimento».

Un fenomeno generazionale transitorio?

Come detto poco fa, il quiet quitting è esploso a seguito della pandemia, diffondendosi soprattutto sui social network e tra i giovani lavoratori, che hanno vissuto durante l’isolamento Covid sentimenti come disillusione, disorientamento e perdita di obiettivi a medio-lungo termine. La pandemia ha inevitabilmente favorito anche nuove riflessioni sul senso del lavoro e della vita in generale, ma il fenomeno dell’“insoddisfazione” sul luogo di lavoro è sempre esistito, condizione che è alla base proprio del quiet quitting.

Lo dimostra anche una ricerca citata dall’Harvard Business Review, secondo la quale in realtà questo nuovo approccio è strettamente collegato alla capacità del manager di costruire una relazione con i collaboratori che non li spinga ad attendere ansiosamente la fine della giornata lavorativa. Le considerazioni condivise sull’insoddisfazione delle persone sono anche confermate dal report 2022 State of global workplace di Gallup, secondo cui in Europa solo il 14% delle persone che lavorano si considera coinvolto o entusiasta del proprio lavoro (in Italia solamente il 4%, la percentuale più bassa di tutti i Paesi europei presi in considerazione).

Per cui, la tesi della Harvard Business Review è che questa diffusione capillare del fenomeno abbia più che altro a che vedere con una crisi manageriale e con un’incapacità da parte di manager e di imprenditori di far coincidere gli obiettivi aziendali con il benessere dei propri collaboratori.

Cosa possono fare i manager di fronte a questo nuovo scenario?

Non che il quiet quitting sia di per sé un approccio da contrastare e condannare, se questo viene inteso come possibilità di lavorare più serenamente grazie a una equa distribuzione del tempo, tra lavoro e vita privata. Ma anche questo non è di certo una novità, dato che la ricerca di un equilibrio tra vita professionale e privata e una maggiore flessibilità a lavoro sono da sempre alla base di un efficace sistema di gestione del tempo.

Quali sono, dunque, le abilità che i manager devono acquisire o accrescere per impedire che questo fenomeno vada ad influenzare negativamente performance e risultati, danneggiando in primis il clima aziendale?

MIGLIORARE LA COMUNIZAZIONE, FACENDO LEVA SU EMPATIA E SUPPORTO

Nonostante siano anni che esperti in comunicazione e consulenti aziendali sottolineino la necessità di avere un approccio empatico con i propri collaboratori, ancora oggi solo un imprenditore su tre mostra empatia con le persone in azienda.

In un tempo in cui si stanno, inoltre, ridisegnando totalmente le dinamiche lavorative, diventa fondamentale costruire una cultura a favore del confronto e dell’ascolto. L’interesse sincero verso le persone resta una leva motivazionale potentissima. Inoltre, guidare con empatia vuol dire calarsi nei panni dell’altro ed essere in grado di comprenderne necessità, punti di vista e attitudini.

Per invogliare il dialogo e conoscere stati di insoddisfazione e malessere nei collaboratori, il manager di successo oggi dovrebbe avere incontri di confronto con ogni membro del team almeno una volta a settimana. Questo permetterà di cogliere rapidamente criticità, ma anche di instaurare una relazione di fiducia in un ambiente sano e flessibile.

DEFINIORE OBIETTIVI CHE HANNO VALORE PER LA PERSONA

In un certo senso, si tratta di ricostruire il significato del lavoro. In questa condizione di insoddisfazione che spinge ad avere un approccio “limitante”, le persone hanno bisogno di credere in ciò che fanno e di avere obiettivi chiari e misurabili. Il compito del manager è di aiutare a definire questi obiettivi, supportare i collaboratori nel loro conseguimento e, soprattutto, far sentire che il raggiungimento dei propri traguardi personali è essenziale al raggiungimento degli obiettivi aziendali, riconnettendoli così allo scopo aziendale.

CREARE AMBIENTI FLESSIBILI E CONDIZIONI SMART

Una delle necessità maggiormente rivendicate dai quiet quitter è il bisogno di avere maggiore flessibilità nel rispetto del work-life balance. Per cui si potrebbe pensare a nuovi modelli di lavoro flessibili, come lo smart working, ormai noto a tutti. Oppure definire delle regole per una buona integrazione tra vita e lavoro. In diversi Paesi si stanno sperimentando, ad esempio, giornate lavorative con orario ridotto, per dimostrare come una maggiore elasticità nell’orario di lavoro possa avere degli impatti positivi sul benessere delle persone e sui risultati aziendali.

Utopia o prossima realtà??

A quanto pare il mondo del lavoro si sta muovendo sempre più verso questa direzione. Ce lo dimostra prima la Great Resignation, l’ondata di dimissioni volontarie che ha preso piede negli Stati Uniti a inizio 2021 e che si sta rapidamente diffondendo anche in Italia, e adesso il quiet quitting.

Questi fenomeni non sono altro che la dimostrazione di un processo di cambiamento epocale che richiedono ambienti di lavoro flessibili affiancati da un sistema di gestione delle persone efficace, basato sull’ascolto e sul coinvolgimento… oggi più che mai!

 

Non esitare a contattarmi per un confronto sul tema e per comprendere meglio come gestire aziendalmente questo delicato momento di cambiamento.

 

 

Martina Pengue
Recruiting Manager
HR & Marketing Consultant
martinapengue@ramitalia.it
333 2246285

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